Cornovaglia, metà del diciannovesimo secolo: un cadavere, quello di Tom Jenkyn, penzola da una forca. L’uomo è stato giustiziato poiché colpevole d’aver ucciso sua moglie, una megera. Ambrose, cugino e tutore di Philip Ashley (rimasto orfano a soli diciotto mesi), porta il ragazzino a osservare quel corpo penzolante; glielo mostra come fossero davanti a qualcosa di divertente, come fossero alla fiera di Bodmin. Ambrose gli vuole bene, e per questo lo mette continuamente alla prova: Philip, dal canto suo, non vuole altro dalla vita che somigliare a suo cugino; e allora finge, finge di non provare dolore – sebbene conosca quell’uomo – fino al punto da sputargli addosso. Poi, col permesso di Ambrose, vomita in un angolo, e subito ricomincia a trotterellare dietro al cugino. Ambrose è un misogino, uno scapolo, e Philip cresce in una casa di soli uomini, dove persino la servitù, il vecchio Seecombe, è tutta al maschile. L’unica compagnia femminile, per lui, è la figlia di Nick Kendal, il suo padrino. Ma, un giorno, Ambrose è costretto dal medico ad andare a svernare in Italia, a Firenze. E qui tutto cambia, poiché conosce la cugina Rachele
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