Tornato col doppio ‘Pandora's PlayHouse’, l'artista un tempo noto come Terence Trent D'Arby parla del disco, degli effetti della pandemia sull'arte, della politica americana. «Fanculo pace e serenità»
Sananda Maitreya
Foto: Manuel Scrima
Sananda Maitreya nel bel mezzo di una pandemia torna con un doppio album, Pandora’s PlayHouse, il suo dodicesimo in studio, quasi interamente scritto, prodotto, suonato e arrangiato da lui stesso. Un disco senza limiti di genere, che si richiama alla mitologia per inquadrare la sua particolare creatività. Un ritorno in grande stile per questo eretico dell’industria musicale che da tempo ha deciso di abbandonare “il sistema” per sentirsi libero di esprimersi come e quando vuole. E così è nata l’ennesima miscela inebriante di rock, psichedelia, soul e R&B, con la voce di Sananda come forza trainante.
Lo abbiamo intervistato subito dopo l’uscita del disco e il suo 59esimo compleanno. Fra le tante cose che ci ha confessato, ce n’è una molto intima: «Come vorrei morire? Con mia moglie seduta sulla mia faccia mentre ascolto il Messiah di Händel».
Pandora’s PlayHouse è
un doppio. Come mai hai sentito l’esigenza di pubblicare un disco così
corposo nel bel mezzo di una pandemia e con tutti i problemi che ne
conseguono?
È l’arte stessa a spingermi a esprimermi ed
effettivamente sembra adattarsi alla situazione visto che riflette il
periodo nel quale vivo di volta in volta. La vita e l’arte si imitano a
vicenda, la prima guida la danza e l’altra la segue.
Delle 28 canzoni, quante sono nate durante il primo lockdown?
Ogni
progetto è un misto fra canzoni già pronte e nate al momento. Prima
dell’inizio delle registrazioni pensavo sarebbe stato un album solo.
Probabilmente a metà strada il processo si è esteso a causa della
pandemia. È stato utile a mantenere la mente occupata su attività
positive, per cui il numero di canzoni è cresciuto. Sono stato molto
fortunato ad avere una missione, qualcosa da completare. I momenti di
crisi fanno emergere un sacco di emozioni e per un artista possono
essere molto positivi da sfruttare, visto che non si possono ricreare
così facilmente a piacere.
L’album
prende spunto dalla mitologia, in particolare dal mito di Pandora che
riaprendo il vaso ridà speranza al mondo. Pensi che la speranza di un
mondo migliore oggi sia in mano alle donne?
La speranza per un
mondo migliore è collettiva, come società. La si può realizzare tutti
insieme, non da soli in modo egoistico. Non ha senso lasciare fuori
dalle posizioni di potere le donne, quando potrebbero essere di grande
aiuto portando più equilibrio. Le società che tengono fuori le donne si
auto-imbrogliano credendo sia possibile farlo. Mi auguro che le donne
possano sempre più condividere il potere in modo equo, in questo modo ci
libererebbero da una parte di fardello che ci ha reso dei “martiri” e
ha limitato il nostro sviluppo.
Hai seguito i movimenti che sono nati in questi anni, dal Me Too a Black Lives Matter?
Li
seguo quando catturano la mia attenzione e faccio attenzione a come
cercano di tenermi in allerta. Tutti i movimenti sono degni in ciò che
chiedono, ma per costituzione sono uno che preferisce l’idea di
auto-liberazione, magari accompagnata alla soddisfazione per
l’autoindulgenza necessaria alla mia psiche. L’interesse personale
bilanciato con il bene comune mi sembra la forma di governo più onesta.
Sono tutti movimenti nati in America, un Paese che descrivi in modo piuttosto duro nel brano che si intitola, appunto, In America. Come mai, nonostante questi continui movimenti, certe cose non sembrano cambiare?
Più
che descriverla duramente, ne ho fatto un ritratto di ciò che appare
nelle notizie della stampa. Infatti, queste notizie sono spesso mirate a
mantenere il livello d’attenzione alto in modo esagerato. Il filosofo
Jiddu Krishnamurti ci ricorda che “dove va l’attenzione, è lì che
fluttua l’energia”. Per cui la nostra attenzione ha un grandissimo
valore per l’industria dei media. C’è chi dice che “più le cose cambiano
più rimangono le stesse” e quindi la ripetizione diventa una prigione
della distrazione. In questo modo impediamo il progresso oltre al punto
di utilità per i nostri maestri. Siccome non possiamo cambiare, non si
potrà cambiare.
Che effetto ti ha fatto l’assalto al Congresso americano da parte dei sostenitori di Trump?
Fu
il grandissimo maestro Malcolm X che parlò dell’idea dei “polli che
tornano a casa nel pollaio”. Visto che l’America supporta molti colpi di
stato nel mondo, era solo questione di tempo prima che questa energia
le tornasse indietro. Non è un mio giudizio, è la realtà dei fatti.
Dimostra anche vividamente come la differenza tra la civiltà e la morte
della speranza sta nello spazio che si trova tra il buon senso e quanto
siamo disperati affinché le sue leggi vengano ripristinate. Continuiamo a
seguire i leader che continuano a guidarci in circoli viziosi.
Con Biden credi che possa tornare un po’ il sereno nella società americana?
L’America
è troppo grande e per molti versi ingestibile per come è attualmente
configurata per essere un luogo in cui regnano pace e serenità. Ma,
indovina un po’: fuck peace and serenity! Suonano bene sulla
carta, ma nella realtà sono noiose. Facciamo un sacco di cose quando
siamo in stato di agitazione e c’è un motivo per cui le persone giovani e
irrequiete scappano da pace e serenità, perché la nostra ambizione è
costantemente alimentata da rabbia e ricerca di soddisfazione. Non
voglio dire di arrendersi alla nostra rabbia, ma di vedere quale
vantaggio trarne. In questo momento è meglio mantenere il focus
sull’attenzione. Ci sarà tempo per la pace quando il lavoro sarà finito.
E solo il tempo che abbiamo guadagnato potrà invogliare la serenità a
raggiungerci all’ora stabilita.
In Time Is On My Side dei Rolling Stones collabori con Irene Grandi. Perché hai scelto proprio lei?
La
domanda dovrebbe essere: perché lei ha scelto me? Ci siamo conosciuti e
abbiamo parlato di collaborare quando il momento si sarebbe presentato e
così quando è arrivato abbiamo registrato questa canzone. Time Is On My Side serve
a onorare i molti anni che io e lei abbiamo dedicato al sacrificio per
la nostra carriera e alla nostra definizione di arte. Inoltre, sarebbe
inutile sottolineare che sono sempre stato un grande fan dei Rolling
Stones.
In Pandora’s Plight invece è presente Antonio Faraò. Come ha arricchito questo brano?
Io
e il maestro Antonio Faraò avevamo realizzato delle cover di Duke
Ellington insieme e quando abbiamo finito di realizzare questo mio
desiderio, gli ho proposto di registrare anche Pandora’s Plight.
Il testo è nato come poesia, poi ho chiesto ad Antonio di armonizzarlo
in una take. Lui arricchisce qualsiasi cosa solo avvicinandosi ad essa. È
un grande e rispettato maestro nel suo mestiere ed è stato un piacere
lavorare con lui e sincronizzare i nostri spiriti.
Il
tuo rapporto con l’Italia è ormai ventennale. Ti lancio una
provocazione: quale canzone ti piacerebbe cantare in italiano e con chi?
Se
l’opportunità fosse abbastanza allettante, mi piacerebbe cantare in
italiano. A un uomo è stato chiesto di fare cose peggiori di questa. Per
quanto riguarda altri artisti, ho diverse idee che potrebbero
coinvolgere alcuni di loro, non solo uno. Quando la chimica è giusta e
il rispetto è reciproco, le collaborazioni possono essere esperienze
appaganti e desiderabili. Nel frattempo, la buona notizia è che
fortunatamente non sento una pressione schiacciante per contribuire a
una lingua come l’italiano che finora è andata abbastanza bene senza una
mia canzone o che ne abbia abusato in alcun modo. Forse servo il mondo
in modo migliore e meno imbarazzante nella mia lingua madre.
In passato hai fatto parte dell’industria musicale. Dopo tanto tempo che te ne sei distaccato, in che stato di salute la vedi?
Lo
stato di salute attuale dell’industria musicale riflette lo stato in
cui si trovano le nostre società. E mentre il business potrebbe essere
in qualche modo in stasi, l’arte non è mai stata tanto disponibile. Ora
potrebbe essere forse il momento migliore per essere un artista. La
crisi, come sempre, garantisce che a continuare sono solo coloro per i
quali questa arte conta davvero. Mi riferisco a quelli per i quali il
denaro è accidentale e non il punto di partenza.
Recentemente
l’attenzione dell’Italia musicale è stata catalizzata da Sanremo. Per
caso l’hai seguito e hai ascoltato qualcosa di interessante?
Mia
moglie è molto orgogliosa della grande tradizione italiana di Sanremo e
trova sempre il tempo di guardarlo. Io, invece, per natura tendo a
stare lontano da queste cose, non importa quanto rispetto posso avere
per il loro valore. Come tutti gli artisti, apprezzo l’attenzione per il
mio lavoro, ma non ho mai vuto grande interesse per i premi, né sono
molto competitivo. La grande soddisfazione sta nell’essere liberi di
praticare il proprio mestiere per quanto ti ispira e non per come ti è
richiesto da altri. Preferisco sempre seguire la mia Musa e non mettermi
nei panni di qualcun altro.
Hanno vinto i Måneskin, una giovane band rock. Non si diceva che il rock era morto?
Ogni
cosa è morta quando viene ignorata. D’altronde, perché dovrebbe
animarsi mentre guardiamo dall’altra parte? È come una pianta, quando a
un certo punto gli dai l’acqua della nostra attenzione magicamente torna
in vita. Niente muore, le cose dormono soltanto. La nostra attenzione è
ciò che dà vita alle cose, motivo per cui la nostra attenzione è così
preziosa per lo Stato e le imprese.
Foto: Manuel Scrima
In
Italia da anni spopola la musica trap, ma per te non deve essere niente
di nuovo visto che è un genere nato in America negli anni ‘90. Ti
piacerebbe collaborare con qualche giovane trapper?
Per me non
è mai una questione di genere, ma della scintilla della creatività e
della volontà di lavorare insieme. In questo modo è semplice generare
una vibrazione e organizzarla. Ragionare per generi è come prendere una
sensazione e metterla in cornice, finché questo non ti fa sentire trapped (“intrappolato”, un gioco di parole inglese, nda).
Intanto,
oltre al disco hai lanciato anche una trasmissione radiofonica nella
quale fai ascoltare e commenti i brani che hanno ispirato il tuo
percorso. Se dovessi sceglierne solo tre, quali sarebbero?
Il primo, Superstition di
Stevie Wonder. Ricordo che avevo 10 anni nel 1972 e alcuni miei cugini
mi raccontarono con entusiasmo di questo cantante cieco che aveva creato
una musica magica. Mi hanno portato a casa loro ad ascoltare il disco e
mi ha immediatamente trasportato nel futuro dove esisto adesso. Poi A Hard Day’s Night dei
Beatles, perché la loro musica mi ha dato la vita. Mi ha svegliato e mi
ha chiamato all’attenzione su chi io fossi veramente. Quella canzone è
tra i più grandi esempi del loro English rhythm & blues, un qualcosa di nuovo e senza tempo. Infine, Jumpin’ Jack Flash dei
Rolling Stones, visto che sono i miei grandi eroi e questa è una
canzone che per me definisce l’essenza di chi sono e cosa hanno
significato. È come un mojo (nella magia popolare del hoodoo, un amuleto magico, nda). Non a caso, i testi sono degni di confronto con il meglio del grande maestro blues Robert Johnson.
Il 15 marzo, in concomitanza con l’uscita dell’album, hai compiuto 59 anni. Qual è il tuo rapporto con il trascorrere del tempo?
Fanculo
il tempo e fanculo il suo passaggio! In verità, sono un po’ stupito di
essere sopravvissuto così a lungo. Avrei pensato che “quei bastardi” mi
avrebbero preso molto prima!
Cosa ti ha insegnato questa pandemia finora?
Se
questa crisi non riesce ad attirare la nostra attenzione, allora siamo
più morti di quanto pensiamo. La pandemia mi ha permesso di concentrarmi
su come trascorro il tempo e sul valore che ha. E ha dimostrato a tutti
quanti cosa succede quando insistiamo a piegare il mondo alla nostra
volontà. E ancora, quanto possiamo dare per scontato i nostri cari
quando ci dimentichiamo che la vita è come il vapore: un minuto c’è, il
minuto dopo è evaporato. Niente è garantito tranne l’amore, che dura per
sempre, quindi torniamo ancora una volta a vedere coloro che amiamo con
occhi più freschi e più pazienti. Ma devo ammettere anche che questa
pandemia mi ha reso un po’ più grasso.
Qual è la prima immagine che ti viene in mente di quando eri bambino?
Il mio primo ricordo d’infanzia è l’ascolto dei Beatles alla radio nel 1964 quando hanno trasmesso She Loves You e I Wanna Hold Your Hand.
Un altro ricordo importante è di quando mia madre mi ha portato in
città per comprarmi una canna da pesca e un set di pesci di plastica, ma
ancora più importante un set completo di carte di Batman. Lui è stato
il mio altro grande eroe dopo i Beatles. Sono ancora oggi un suo fan. E
finora, né i Beatles né Batman mi hanno mai deluso!
Se potessi deciderlo, come vorresti morire?
Non
mi piacerebbe, ma lo accetterò come condizione del mio “rilascio” verso
un’altra dimensione. Detto questo, vorrei morire con la mia
straordinaria moglie seduta sulla faccia mentre ascolto il Messiah di Händel. Ma siamo onesti, la morte in fondo è una gran rottura di palle. Hallelujah!
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