Lecce, 23 maggio 1938
Attraverso
i vetri della finestra sferzati dalla pioggia, Guido, immobile e con la
testa piena di pensieri, guardava distrattamente i passanti che,
sorpresi dal violento acquazzone primaverile, si affrettavano a mettersi
al riparo.
Si
era alzato il vento e nubi minacciose, cariche di elettricità,
nascondevano il sole. La luce metallica, fredda e accecante che
avvolgeva l’aria, finì con l’irritarlo, costringendolo a socchiudere gli
occhi azzurri, sedotti dal contrasto tra il bianco madreperlato delle
mura dell’antico palazzo che si stagliava di fronte e il cielo plumbeo
che, come in un quadro, pareva delimitare non solo il paesaggio ma anche
ogni umana aspirazione o fantasia.
Con
un sospiro, si lasciò scivolare tra le dita la leggera tenda di lino
che fino a quel momento aveva tenuto scostata con la mano e si allontanò
dalla finestra, rivolgendo un nuovo sguardo alla lettera che aveva
appena ricevuto: quelle tre pagine, poggiate sul tavolo, sembravano
rilucere sotto il chiarore della lampada come tre petali strappati dalla
corolla di una margherita.
Preoccupato,
a quel punto si chiese se quanto aveva in animo di fare, piuttosto che
concretizzarsi in una promessa di felicità, non avrebbe invece decretato
la propria rovina. Così, sentendo montare l’agitazione, tornò a sedere e
rilesse, ancora una volta, il contenuto di quella lettera che aveva
atteso con trepidazione per giorni.
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