lunedì 20 luglio 2020

Il prologo del mio libro Le figlie delle onde








 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lecce, 23 maggio 1938


Attraverso i vetri della finestra sferzati dalla pioggia, Guido, immobile e con la testa piena di pensieri, guardava distrattamente i passanti che, sorpresi dal violento acquazzone primaverile, si affrettavano a mettersi al riparo. 
Si era alzato il vento e nubi minacciose, cariche di elettricità, nascondevano il sole. La luce metallica, fredda e accecante che avvolgeva l’aria, finì con l’irritarlo, costringendolo a socchiudere gli occhi azzurri, sedotti dal contrasto tra il bianco madreperlato delle mura dell’antico palazzo che si stagliava di fronte e il cielo plumbeo che, come in un quadro, pareva delimitare non solo il paesaggio ma anche ogni umana aspirazione o fantasia.
Con un sospiro, si lasciò scivolare tra le dita la leggera tenda di lino che fino a quel momento aveva tenuto scostata con la mano e si allontanò dalla finestra, rivolgendo un nuovo sguardo alla lettera che aveva appena ricevuto: quelle tre pagine, poggiate sul tavolo, sembravano rilucere sotto il chiarore della lampada come tre petali strappati dalla corolla di una margherita.
Preoccupato, a quel punto si chiese se quanto aveva in animo di fare, piuttosto che concretizzarsi in una promessa di felicità, non avrebbe invece decretato la propria rovina. Così, sentendo montare l’agitazione, tornò a sedere e rilesse, ancora una volta, il contenuto di quella lettera che aveva atteso con trepidazione per giorni.  

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